Vetta. Mi sfilo dalle spalle lo zaino e lo butto a terra. Le mie percezioni si sono fatte più acute, l’aria attorno a me più trasparente e diafana, l’atmosfera più densa. Nelle mie orecchie John Coltrane continua il suo labirintico assolo, all’infinito. Siamo Uno, siamo Tutto. Lassù, seduta, ogni cosa fa parte di me, di noi. Sento una forte scossa, come se il mondo si fosse capovolto, una sensazione sconcertante di star vivendo nell’aria, una felicità senza nome.
Come ci siamo arrivati quassù? Riavvolgo la moviola, ripartono le immagini di un racconto che ancora lascia il sapore di magia.
L’idea di un viaggio, delle montagne, della passione conduce al Palafavera e lì, di fronte ai grandi silenziosi guardiani Pelmo e Civetta un gruppo di persone sconosciute aspetta, accoglie gli stranieri con il calore e la semplicità di una famiglia che si ritrova.
Ci si mette in cammino in quella tangibile bolla di entusiasmo che avvolge tutti noi. L’avvicinamento, il sole sui volti, il profumo delle rocce, le parole che si diradano, le staffe, le scalette. E’ come una canzone in crescendo che ti riempie le orecchie, un’onda che ti sale dai piedi e non puoi contenere, puoi solo vivere.
Ad ogni passo le note della canzone si fanno più forti e stentoree.
Nelle cenge ci si ferma per respirare la cornice di quel luogo edenico dove siamo umili ospiti, mi giro a osservare gli occhi. E trovo una specie di energia radiante, non si tratta di una qualità appariscente e vistosa, ma un richiamo naturale, incontaminato, che arriva dritto al cuore, trasparente e incolore come acqua di sorgente che sgorga in mezzo alle rocce.
Parte la logica, partono domande, “Allora cosa ti sta veramente accadendo?”. La mia domanda come fosse entrata in un circuito sbagliato, viene risucchiata in uno spazio senza nome, resta senza risposta, scompare.
Questo non è il luogo della razionalità, ma della emozione nuda, quella che ti si appiccica addosso.
Si continua a salire, le risate lasciano questo spazio di pietra a respiri che si fanno affannosi, i muscoli si tendono, il sudore lava la pelle, il profilo del compagno sopra di te ti spinge a fare un passo, ed un altro ancora.
C’è chi tra una roccetta ed un terrazzo detritico si rivela un Cicerone di quei luoghi di una competenza e dolcezza impagabili, chi richiede l’effetto placebo della pasticchetta, chi cita una compagna preziosa che per una scarsa mezz’ora non ci ha potuto raggiungere in quest’avventura. Tutto scorre. Eppure in quel silenzio smorzato solo dal lavorìo dei moschettoni, nelle parole inghiottite da luoghi magici, eppure in fondo a tutto questo si sentono le emozioni di ciascuno di noi salire fino alla gola e mostrarsi in fugaci, pieni sorrisi e lampi di luce negli occhi.
Pochi ultimi passi e siamo tutti in vetta. Buona cima ragazzi!
La stanchezza si dilegua al cospetto di ciò che si apre sotto i nostri piedi. So solo che questa Terra non mi è mai apparsa così bella, mi pare che il solo contemplarla basti a rendermi felice per tutta la vita.
Respiriamo il mondo tanto da poterlo sentire e custodire in ogni singola cellula e cominciamo la discesa.
Qualche passaggetto e si giunge al Rifugio Torrani, uno di quei rifugi veri, autentici che ti entra dentro, non poteva che essere così. Diventiamo un tutt’uno con queste mura tanto semplici quanto accoglienti. Qualche panca su cui stringerci, gocce dal sapore alcolico che si liberano nell’aria, materassi da condividere, un’alleanza che si stringe sotto l’abbraccio di un vento sferzante che il Civetta sembra mandarci a mo’ di invito.
La montagna ci ha ora completamente inghiottito, forse ce ne siamo tutti accorti e lasciamo fare. Ogni cosa fa parte di me, di noi, lì seduta osservo la danza. Solo tendere l’orecchio, ascoltare con attenzione e conservare dentro di me quello che sento, come fossi un'ostrica.
Prendere sonno è impossibile, mi accorgo di esser rimasta stregata, di non voler perdere nemmeno un istante di tutto questo.
Giunge l’alba, troppo presto. Ci si guarda, come se fossimo stati lì da sempre nel fluire del tempo cristallizzato. Colazione e si riparte in ripida discesa. Un unico corpo di 12 persone.
Un silenzio frammentato di risate e parole non dette. Giungono le prime persone ospiti come noi di questa via.
La valanga di corridori dal Coldai in poi ci sembra portare alla realtà, ma la bolla che ci avvolge permane ancora.
Un salto nel furgoncino, un pasto tutti insieme, una promessa che avremmo mantenuto a breve ed il Civetta con la sua Alleghesi ci saluta così, con il dono più grande: gocce di vita, di amore, di unione. Soprattutto Goccia!
Giulia